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Questo contenuto è tratto da un articolo di Nick Whitfield per Double Clutch UK, tradotto in italiano da Marco Cavalletti per Around the Game.


Quando mi chiedono chi sia il mio giocatore preferito di sempre, la gente rimane spesso sorpresa dalla risposta. La risposta standard per un trentenne che aveva la velleità di prendere in mano una palla da basket negli anni ’90 era, ovviamente, Michael Jordan. Se invece tifavate per una squadra diversa dai Chicago Bulls, allora forse la risposta poteva essere uno degli altri All-Star perenni dell’epoca. Ma non per me.


Quando dico alla gente che il giocatore che da ragazzo ho sempre cercato di imitare è John Starks dei Knicks degli anni ’90, difficilmente la mia scelta viene compresa. E se avete visto The Last Dance, ve ne renderete conto; c’erano giocatori molto più forti nella Lega, ovvio, ma non era il talento a catturare la mia ammirazione.

Quando mi avvicinai per la prima volta al mondo della NBA, i Bulls si preparavano a diventare la corazzata che avrebbe dominato la quasi interezza del decennio, avviandosi verso il primo “threepeat”. Nel Regno Unito l’offerta televisiva relativa alla NBA era distante anni luce (in senso negativo) da quella che è oggi, e i pochi contenuti su cui riuscivo a mettere gli occhi erano principalmente video di highlights, perlopiù monopolizzati dalla presenza dei Bulls. E fu proprio questo (almeno così sembrava) favoritismo per Chicago che mi portò a tifare contro di loro, prima di diventare fan di una squadra in particolare.

C’erano moltissime storie incredibili nella Lega in quegli anni, ma la loro voce sembrava rimanere ovattata. È una cosa strana da spiegare a chi non l’ha vissuta in prima persona, ma la percezione che avevo era quella di una Lega la cui storia veniva raccontata dal punto di vista di Jordan e dei Bulls. Guardando The Last Dance, quel punto di vista appare completamente giustificato dai fatti, ma nonostante ciò, la copertura internazionale subiva una deviazione non indifferente.

Perfino durante le partite in diretta, la telecronaca sembrava (a me, almeno) concentrarsi unicamente su quanto fosse straordinario Jordan, che fosse lodando una performance spettacolare o chiarendo dettagliatamente le ragioni personali dietro a una prestazione più scarsa.

Fu attraverso questo prisma a forma di Jordan che vidi giocare per la prima volta John Starks.

In particolare mi colpì il fatto che, nonostante MJ riuscisse sempre a segnare con semplicità imperiosa, c’era un uomo che era sempre in grado di contrapporgli una difesa incredibile. Non importava quanto senza senso fosse l’ultimo canestro segnato da Jordan, quell’uomo lo avrebbe affrontato senza paura anche la volta successiva. Non gli importava. Avrebbe difeso ancora più forte, affrontandolo a viso aperto, e ricordandoglielo anche a parole. Anche se aveva perso la partita, non sembrava mai che Jordan lo avesse abbattuto psicologicamente, e questa era una cosa rara. Starks era il tipo di giocatore che sarebbe tornato ancora più aggressivo, che non si sarebbe mai arreso.

La carriera di Jordan sembrava svilupparsi come in un film ben scritto, ma fu l’uomo che cercava di ribaltare la sceneggiatura a conquistare me. Iniziai quindi a consumare avidamente qualsiasi video, articolo o informazione sui Knicks su cui riuscissi a mettere le mani. E fu così che cominciai a scoprire l’improbabile cammino che aveva condotto Starks alla NBA.

La Storia di John Starks

Prima di arrivare in NBA, Starks aveva giocato un solo anno di pallacanestro liceale, passando poi per Rogers State College, Northern Oklahoma College, Tulsa Junior College, Oklahoma Junior College e Oklahoma State University.

Insomma, non fu una sorpresa quando uno sconosciuto da Oklahoma non venne scelto da nessuno al Draft del 1988. La cosa sorprendente, tuttavia, fu che Starks riuscì comunque ad approdare ai Golden State Warriors da free agent. Lì ebbe ben poche chance, visto l’arrivo in squadra di Mitch Richmond con la quinta scelta assoluta, poi Rookie of the Year. Alla fine della stagione, dunque, Starks venne tagliato.

Dopo solo un brevissimo assaggio della NBA, insomma, l’esperienza di Starks nella Lega sembrava già finita. Giocò poi in due campionati professionistici minori prima di assicurarsi il posto per un provino dei Knicks nel 1990. Come ammise lui stesso, non fece abbastanza per lasciare il segno durante il provino, e ottenne un posto in squadra solo grazie a un cavillo contrattuale.

In uno degli ultimi allenamenti a sua disposizione prima di venire tagliato dalla squadra, Starks sapeva di doversi mettere in risalto, e provò quindi a schiacciare in faccia a nientemeno che il giocatore franchigia, Patrick Ewing. Starks si fece male tentando la giocata, e in quegli anni la NBA proibiva alle squadre di tagliare dal roster i giocatori infortunati.

A quel punto, Starks non si sarebbe lasciato sfuggire nessun’altra occasione, e con pura forza di volontà e determinazione, si fece strada fino a ottenere il posto di shooting guard titolare dei New York Knicks.

Venne poi inserito nell’All-Defensive Second Team nel 1993, venne nominato All-Star nel 1994 e più tardi abbracciò il ruolo di sesto uomo, diventando Sixth Man of the Year nel 1997. Non si fece mancare neanche la partecipazione allo Slam Dunk Contenst del 1992.

Ormai 33enne, Starks venne infine scambiato da New York – assieme a Chris Mills e Terry Cummings – con la trade che portò ai Knicks Latrell Sprewell.

Passò i suoi ultimi anni nella Lega sempre con la valigia pronta, giocando per Golden State (ironia della sorte), per Chicago e per gli Utah Jazz, prima di annunciare il suo ritiro al termine della stagione 2001/02.

L’eredità di John Starks

Oltre che per essere stato sconfitto con continuità da Jordan, Starks viene perlopiù ricordato (da quelli che se ne ricordano) per il suo tiro per la potenziale vittoria stoppato da Hakeem Olajuwon in Gara 6 delle Finals del 1994, e per aver tirato con 2/18 dal campo nella successiva sconfitta dei Knicks in Gara 7.

Ciò di cui la gente non si ricorda, tuttavia, è che prima del suo tentativo di game winner, Starks aveva segnato 27 punti con 9/18 dal campo in quella Gara 6; mentre Ewing, la pietra portante della squadra, era stato surclassato da Olajuwon per tutta la serie.

A causa del limitato successo individuale riscosso da Starks nella Lega, in pochi si ricordano di quanto fosse stato improbabile il percorso che lo aveva condotto lì (sostanzialmente una Linsanity più sostenuta nel tempo rispetto a quella dell’effettivo Lin). Era già un miracolo che Starks fosse un giocatore NBA, figurarsi il terzo realizzatore in un’edizione delle Finals.

Mentre alla sua età i suoi pari nella Lega erano già stati star di programmi collegiali di prima fascia o erano già stati scelti in NBA, a 20 anni Starks percepiva il salario minimo consentito facendo il cassiere in un supermercato. E questo solo pochi anni prima di fronteggiare Michael Jordan nei Playoffs. Questo articolo del 1991 del New York Times fa capire quanto davvero quel ragazzo venisse dal nulla.

Ma non fu solo la sua storia personale a colpirmi. Una volta entrato in ritmo, Starks era uno dei tiratori più incredibili che avessi mai visto. Poteva giocare un paio di partite sottotono, ma poteva anche prendere fuoco e regalare performance in cui non sembrava capace di sbagliare.

Starks fu il primo giocatore nella storia della NBA a segnare più di 200 triple in stagione, e rimane tutt’ora il giocatore con più triple segnate nella storia dei Knicks. Inoltre, era un grande penetratore all’apice della forma fisica, e i suoi incredibili video di highlights lo dimostrano.

The Dunk

C’è una giocata, in particolare, da parte di Starks, che – assieme al gioco da quattro punti di Larry Johnson e al game winner di Allan Houston contro Miami nel 1999 – è diventata una delle più iconiche della storia dei Knicks.

Conosciuta oggi come “The Dunk”, è stata anche inserita in una sequenza di The Last Dance, ma senza alcun contesto. Era Gara 2 delle Eastern Conference Finals del 1993, dopo la vittoria dei Knicks sui favoriti Bulls in Gara 1. A un minuto dalla fine della partita, NY era avanti di 3 punti, e Starks portò la palla in attacco; era marcato da BJ Armstrong, sul quale venne a bloccare Ewing; Armstrong si sbilanciò deliberatamente per mandare Starks sull’aiuto (nota a parte: la difesa sul pick&roll dei Bulls era decisamente anni luce avanti rispetto a tutti); vedendo questo, Starks penetrò dritto a canestro, bruciando Armstrong e chiamando l’aiuto di Horace Grant, membro dell’All-Defensive Second Team; l’aiuto però arrivò in ritardo, e Starks gli volò sopra andando a schiacciare di sinistro; provò ad aiutare anche Jordan, ma arrivò in ritardo finendo anche lui nel poster.

È difficile provare a parlarne oggi, conoscendo la fine della storia, ma in quel momento sembrava di trovarsi di fronte all’impossibile. Questo tizio lavorava al supermercato fino a pochi anni prima, e ora invece schiacciava sulla testa dei Bulls, conducendo (così sembrava) i Knicks alla vittoria.

E ora, tanto per aggiungere un po’ di intrigo e di controversia a questa giocata…

Per molti, LeBron James non fu il primo a far cancellare una sua apparizione nella parte sbagliata di un poster (mi riferisco alla schiacciata subita dal Re durante il suo camp per mano dell’ancora ragazzino Jordan Crawford). Basta infatti guardare alla rimozione di MJ da una figurina relativa alla giocata per capire perché alcuni ne fossero convinti. (In realtà, era tutto dovuto al fatto che Jordan aveva un endorsement esclusivo con una specifica marca di figurine, ma l’episodio rimane comunque divertente.)

Guardando al passato

Non ci si annoiava mai, guardando giocare Starks.

Era un difensore estremamente fisico, nonostante concedesse centimetri e chili a guardie più grosse come Jordan. La sua incredibile sete di competizione conquistò il cuore di molti tifosi, specialmente in un’era in cui venivano permessi una difesa più fisica e un gioco estremamente duro nei Playoffs. A tutto questo, Starks aggiungeva poi un iconico tiro a parabola alta che lo rendeva un cliente molto scomodo da difendere, una volta entrato in ritmo.

Da cassiere del supermercato a giocatore NBA, a All-Star, a sconfitto nelle Finals fino a gregario con la valigia sempre pronta. La storia improbabile e il fisico modesto lo resero in qualche modo una delle star in assoluto più vicine alle persone comuni. Ed è una testimonianza alla grandezza di Jordan il fatto che questo mi portò a tifare contro di lui in quegli anni.

Mentre i media a cui avevo accesso raccontavano la NBA secondo la prospettiva Bulls, i volevo tifare per l’uomo che cercava di compiere ciò che era apparentemente impossibile. Battere Jordan.

La carriera di John Starks è stata una carriera dagli alti memorabili e dai bassi… ancora più memorabili. Erano le sue emozioni a dettare la natura delle sue performance, e il più delle volte, di conseguenza, anche il successo dei Knicks. Essere fan di New York in quegli anni significava essere costretti a salire su quella montagna russa con lui. L’impatto di Starks, però, si fa ancora sentire, perfino nell’attuale roster della squadra. In una sua recente intervista, infatti, RJ Barrett (classe 2000) ha inserito Starks nella lista dei suoi giocatori preferiti.

Ripensando al passato, e guardando di nuovo i miei Knicks attraverso quel prisma a forma di Jordan con The Last Dance, non posso che venire sommerso da emozioni e ricordi. E anche se era senza dubbio Ewing la colonna portante della franchigia, il miglior giocatore e il volto più riconoscibile della squadra… per me, non fu lui ad avere l’impatto più grande. Sono stati quegli alti incredibili, quelle storie improbabili e quei bassi disperati di John Starks a marchiare a fuoco la mia esperienza da tifoso Knicks.

Tanto in passato, quanto ancora oggi.