Se gli esordi nella Lega di norma non sono mai semplici, ci sono rookie che alla prima tra i professionisti hanno fornito prestazioni leggendarie. Tra molti hall of famer e qualche meteora, le storie di otto debutti eccellenti.

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Sono due i momenti precisi in cui un giovane giocatore si rende conto che la sua vita sta per cambiare – anzi, è già cambiata – e il suo sogno di approdare nell’Olimpo del basket mondiale diventa improvvisamente più reale, tangibile. Il primo è la notte del Draft. In un vortice emotivo difficile da comprendere per noi comuni mortali, il proprio nome viene pronunciato dal Commissioner subito dopo quello di una franchigia e, aldilà di possibili scambi e imprevisti, tale chiamata rimarrà impressa nei libri di storia per sempre.

Il secondo decisivo momento è quello dell’esordio.

Tutti quegli anni per le strade, nelle palestre dei licei, nei caldi palazzetti universitari o nei caldissimi campi aldilà dell’Oceano: tutta la fatica e il duro lavoro – oltre a un sacrosanto tocco della dea bendata – hanno portato a quel momento, in cui finalmente ci si infila una canotta NBA col proprio nome sulle spalle.


È facile immaginare come l’istante della prima palla a due sia carico di emozione, adrenalina e nervosismo, che possono travolgere o esaltare un giocatore: di conseguenza non è sempre facile, né corretto, giudicare un nuovo arrivato dalla sua gara d’esordio.

Di debutti eccellenti è ricca la storia della Lega. Per alcuni si è trattato solo del primo capitolo di carriere leggendarie; per altri è diventato un unicum, il momento più alto di atleti poi ridimensionati dal prosieguo del percorso tra i pro.

Di seguito, una selezione di 8 dei migliori rookie debuts, tra molte leggende, qualche meteora e qualche promessa non mantenuta.

WILT CHAMBERLAIN

24 ottobre 1959

Nessuno si è mai lontanamente avvicinato ai numeri da rookie di Wilt Chamberlain – e molto probabilmente nessuno mai lo farà.

Basti pensare che al termine della sua stagione da matricola The Big Dipper avrà registrato più di 37 punti e 27 rimbalzi a uscita; stagione chiusa con l’automatico premio di ROTY e di MVP della regular season (solo Wes Unseld come lui nella storia).

L’approdo tra i professionisti di Wilt è paragonabile alla discesa di un UFO sulla terra e la sua partita d’esordio è il perfetto ritratto del ruolo che il 13 da Philadelphia avrà nella storia della pallacanestro. Sbarca nella NBA proprio nella sua città natale, dopo un anno in giro per il mondo con gli Harlem Globetrotters, in cui aveva guadagnato quasi il doppio rispetto al suo primo contratto con i Warriors, che fanno di lui comunque il giocatore più pagato della Lega. La prima di una clamorosa carriera va in scena sul palcoscenico perfetto, al Madison Square Garden contro i New York Knicks: si può immaginare un debutto più emozionante?

Ma le emozioni hanno poco a che vedere con Wilt, troppo atletico, troppo sovrumano rispetto agli avversari per venire intaccato da agenti esterni di sorta.

Risultato: 43 punti e 28 rimbalzi in 48 minuti di gioco. Allora non venivano ancora registrate le stoppate, altrimenti abbiamo come l’impressione che avrebbe chiuso con la tripla doppia.

OSCAR ROBERTSON

19 ottobre 1960 

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A proposito di tripla doppia, l’anno dopo l’arrivo di Wilt un altro rivoluzionario del Gioco sbarca nella NBA con giusto un filo di aspettative.

The Big O ha il pedigree del predestinato già al liceo, quando con la sua piccola scuola, Crispus Attucks, vince il titolo statale dell’Indiana – prima scuola nera a farlo in tutti gli Stati Uniti.

All’università di Cincinnati la leggenda continua, fino alle Olimpiadi di Roma del 1960 in cui Team USA, guidato da Robertson e Jerry West, dilaniano i malcapitati avversari fino a raggiungere la medaglia d’oro con uno scarto medio di 42 punti…

Al momento dell’approdo al piano di sopra, Oscar viene scelto dai Cincinnati Royals – che ancora benedicono l’allora esistente regola della Territorial Pick – mentre Jerry West si accasa ai Lakers, appena trasferiti da Minneapolis alla Città degli Angeli. Indovinate quale partita va in scena la sera del 19 ottobre, la prima tra i professionisti di queste due leggende?

Se The Logo se la cava con un ventello, The Big O va oltre, chiudendo con 21 punti, 12 rimbalzi e 10 assist, contributo piuttosto importante nella vittoria finale 140-123.

La tripla doppia, si diceva. Una costante della stagione d’esordio del primo vero giocatore totale della storia, chiusa oltre i 30 punti, 10 rimbalzi e 9 assist a uscita: numeri clamorosi che verranno confermati lungo tutta una carriera straordinaria.

Anche in questo caso, il buongiorno si è decisamente visto dal mattino.

ISIAH THOMAS

30 ottobre 1981 

Quando al Draft del 1981 il GM dei Pistons “Trader Jack” McCloskey sceglie la giovane point guard degli Indiana Hoosiers Isiah Thomas, sa di aver tra le mani un potenziale franchise player, di cui la squadra del Michigan ha un disperato bisogno.

Detroit viene da 37 vittorie nelle ultime due stagioni e ha un disperato bisogno di leadership e vitalità, che Zeke non esita a donare al progetto già dalla prima palla a due della carriera.

Il 30 ottobre i Pistons ospitano i ben più quotati Bucks, reduci dalla migliore stagione dai tempi di Kareem Abdul-Jabbar, ma il giovane Thomas, al quale vengono affidate le chiavi della squadra senza neanche un minuto di esperienza sui parquet NBA, risponde presente.

31 punti, con 10/19 dal campo – una sola tripla, l’unica tentata dall’intera squadra – e 10/13 dalla lunetta, oltre a 11 assist. Detroit si porta a casa la vittoria con un ultimo quarto favoloso, e sebbene mancherà l’accesso ai Playoffs alla fine della stagione, arriveranno comunque più vittorie che nelle ultime due sommate; oltre al fatto che nel giro di qualche anno i Bad Boys avranno preso forma.

La stagione da rookie di Zeke è decisamente più normale, almeno in termine di numeri, rispetto a Wilt e Robertson, ma il resto della sua carriera, tutta trascorsa con la maglia dei Pistons, sarà comunque da Hall of Fame.

DAVID ROBINSON

4 novembre 1989

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Quello di David Robinson è uno degli esordi più attesi di sempre, nel vero senso della parola “attesa”.

Gli Spurs si innamorano di lui appena lo vedono veleggiare con la sua regale eleganza sui parquet NCAA con la divisa di US Navy.

Nel 1987 il GM dei Texani Bob Bass decide di usare la prima scelta al Draft per assicurarselo, pur sapendo che Robinson non ha intenzione di lasciare la Marina per i prossimi due anni, volendo concludere il suo percorso di studi in matematica.

“Abbiamo aspettato 14 anni la possibilità di chiamare una prima scelta, cosa sono altri due? La nostra franchigia è in una situazione critica, il pubblico scarseggia, dobbiamo riaccendere la loro passione come ai tempi di George Gervin: penso e spero che David sia la risposta giusta”.

È un rischio enorme per il GM degli Spurs. Il regolamento allora vigente decretava che se un giocatore non fosse stato messo sotto contratto dopo un massimo di un anno dalla scelta al Draft, l’esclusiva nei suoi confronti decadeva, e l’atleta aveva la possibilità di tornare a disposizione della lotteria l’anno successivo.

Ma la parola dell’Ammiraglio è quella di un uomo d’onore e quindi il 4 novembre del 1989 Robinson può fare il suo esordio con la maglia dei nero argento allenati da Larry Brown, in una sfida ad alto quoziente di difficoltà contro i Los Angeles Lakers.

Nonostante gli oltre settanta punti del trio Magic-Worthy-Scott, Robinson è semplicemente meraviglioso alla sua prima gara da professionista, chiusa con 23 punti (un clamoroso 11/14 dalla lunetta), 17 rimbalzi, 3 stoppate e la vittoria di San Antonio.

Chiuderà l’anno con uno scontato titolo di ROTY, dopo aver vinto il premio di Rookie del Mese ogni singolo mese della stagione.

LAMAR ODOM

2 novembre 1999

La strada che porta all’esordio tra i pro di Lamar Odom è lastricata di talento e pericolose sbandate, che hanno reso la crescita del tormentato fenomeno del Queens un vero e proprio campo minato.

Papà eroinomane, madre morta quando Lamar aveva 12 anni, 4 licei cambiati tra pessimi voti e un ancor peggiore attitudine, ma una costante: ogni volta che calca un campo da basket irradia pura luce. Nel suo anno da senior è già sul taccuino di molti scout NBA, che vorrebbero per lui un passaggio diretto nella Lega senza passare dal college. Ma dopo un colloquio con Kobe Bryant, Lamar reputa di non essere ancora pronto e decide di accettare un’offerta da parte di UNLV.

Il suo percorso nel Nevada neanche comincia: viene pizzicato in compagnia di una prostituta durante una retata della polizia di Las Vegas e automaticamente sospeso. Si scoprirà inoltre in seguito che aveva accettato un “regalino” di 5000 dollari da parte dell’università per accettare la loro offerta…

Finisce all’università di Rhode Island e dopo un anno seduto può finalmente giocare, con risultati sono notevoli: oltre i 17 punti di media e primo titolo della Atlantic 10 per la scuola.

Dopo quella singola strepitosa stagione, Odom si dichiara eleggibile al Draft del 1999. Ancora una volta è dubbioso, non si sente pronto per la NBA e cerca di tornare sui suoi passi, ma avendo già firmato un contratto con un agente è troppo tardi: i Clippers lo scelgono alla quarta assoluta e subito dopo Halloween è pronto ad esordire. Eccome se è pronto.

In 43 minuti di gioco contro i Seattle Supersonics, Odom fa registrare 30 punti e 12 rimbalzi – con anche 2 stoppate e 2 palle rubate: per quanto la sua limitatissima squadra perda la gara, gli occhi delle Lega sono tutti su di lui.

I numeri della sua prima stagione dicono 16 punti, 4 assist e quasi 8 rimbalzi a uscita, mostrando a tutti il suo incredibile talento totale, che Lamar ha poi sempre messo al servizio dei compagni lungo tutta la sua lunga, vincente e affascinante carriera.

GORDAN GIRICEK

30 ottobre 2002

Dopo alcune incoraggianti stagioni al Cibona, gli Spurs decidono di assicurarselo al secondo giro del Draft 1999, dopo una trade con i Dallas Mavericks.

Giricek resta altri tre anni nel vecchio continente, compresa un ultima stagione pazzesca al CSKA che convince i Memphis Grizzlies, diventati proprietari dei suoi diritti, a chiamarlo nel Tennessee nell’estate del 2002.

Una guardia/ala dalla mano celestiale, con una splendida tecnica e un’ottima velocità di raccolta e rilascio del pallone, Gordan sbarca in una squadra che, eccetto Pau Gasol e l’interessante rookie Drew Gooden, manca visibilmente di talento e profondità. Ergo: c’è spazio per tutti per mostrare le proprie capacità. Al debutto contro i Dallas Mavericks alla Pyramid Arena di Memphis, gli ospiti partono molto forte e coach Sidney Lowe butta velocemente nella mischia il croato, relegato sul fondo della panchina.

Giricek comincia a segnare con grande facilità e sbagliando pochissimo: in men che non si dica si trova oltre i 20 punti, chiudendo la gara a 29, con 10/13 dal campo, 4/6 da 3 punti e anche 5 rimbalzi. Una prestazione storica, trattandosi dell’unico rookie uscito dalla panchina ad essersi anche solo avvicinato a un esordio del genere e ad averlo fatto con soli 13 tiri dal campo.

A metà stagione i Grizzlies scambieranno lui e Gooden per arrivare a Mike Miller, ma entrambi verranno comunque selezionati per il Rookie Challenge, un piccolo ma significativo riconoscimento all’interno di una solida stagione chiusa oltre i 12 punti di media.

Dopo soli cinque anni da girovago, nonostante abbia ampiamente dimostrato di poter essere un ottimo gregario, Gordan torna in Europa al Fenerbahce prima di chiudere la carriera nel suo Cibona.

LEBRON JAMES

29 ottobre 2003

Parlando di aspettative del pubblico sulla prima di un giocatore, è difficile anche solo avvicinarsi all’attenzione generata dall’esordio di LeBron nella NBA, probabilmente uno dei debutti più attesi nella storia degli sport americani (che abbiamo raccontato QUI).

Non potrebbe essere altrimenti per un diciottene che ha già all’attivo le cover di Slam Magazine e Sports Illustrated, soprannominato “The Chosen One”, indicato come uno dei possibili migliori nella storia del Gioco senza neanche un minuto tra i professionisti.

Per darvi un’idea delle dimensioni della faccenda: ESPN quella sera ha due partite in programma.

L’antipasto è Magic-Knicks, a seguire i Cavs di LeBron ospiti dei Kings alla ARCO Arena. La gara tra Orlando e New York finisce all’overtime – immaginiamo gli improperi nelle cabine di regia – così ESPN riesce a chiedere di posticipare la palla a due tra Cleveland e Sacramento per permettere al pubblico di non perdere neanche un istante dell’esordio del futuro Re. Per darvi un’altra idea delle dimensioni della faccenda: prima ancora di scendere in campo, James ha già firmato un contratto da 90 milioni di dollari con la Nike. Kobe Bryant, già tre volte campione NBA, qualche settimana prima ha firmato anch’egli un contratto con Nike: da 45 milioni…

Incredibile pensare alla pressione che un ragazzo appena maggiorenne – seppur di una tempra diversa dal resto dell’umana stirpe – deve aver sopportato, sapendo che ad ogni piccolo errore o indecisione il mondo intero sarebbe stato pronto a farlo a pezzi.

La notte prima non ha dormito, anche le normali operazioni di stretching sono rese difficoltose dalle centinaia di camere attorno a lui, ma è ora della palla a due.

“In questo momento sento le farfalle nello stomaco, ma so che appena inizierà la partita sarò pronto”.

Già…

Inizia con un alley-oop perfetto per Ricky Davis, continua con due intelligenti arresti e tiro; prosegue con assist per tutti e il suo marchio di fabbrica, il furto sulla linea di passaggio chiudendo con una roboante schiacciata. In pratica, nel primo quarto di gioco abbiamo l’intero campionario di quello che LeBron diventerà: un giocatore totale. E le cifre a fine partita sono quelle di un giocatore totale, con 25 punti, 6 rimbalzi, 9 assist e 4 palle rubate.

Che la gara si chiuda con una netta vittoria dei Kings non interessa davvero a nessuno, forse nemmeno ai californiani.

“Era la prima volta che lo vedevo giocare e devo dire che sono impressionato. LeBron fa sul serio”.

(Vlade Divac) 

MICHAEL CARTER-WILLIAMS

30 ottobre 2013

In quella che si potrebbe definire come la prima gara del Trust The Process philadelphiano, la prima di Brett Brown da head coach, va in scena uno degli esordi più incredibili degli ultimi vent’anni. Michael Carter-Williams, undicesima scelta assoluta da Syracuse, al debutto tra i professionisti contro i campioni in carica dei Miami Heat flirta con la quadrupla doppia, in una partita che conduce come un veterano, con una sicurezza e un controllo che fanno gridare tutti al miracolo. E che in quanto miracolo, purtroppo, resterà un caso piuttosto isolato nella sua travagliata carriera.

Che ci sia qualcosa di magico nell’aria, lo dimostra anche la clamorosa prestazione di Spencer Hawes – senza offesa, Spencer… – ma il basket offerto da MCW quella sera è semplicemente straordinario e fa pensare a più di un analista che i Sixers abbiano trovato la loro point guard del futuro.

Il suo primo canestro tra i professionisti è un furto con coast-to-coast chiuso con schiacciata: si può chiedere di meglio?

Nel resto della gara gestisce ogni possesso con grande serenità, senza forzare nulla, distribuendo bene il pallone ai compagni, prendendo tiri aperti dalla lunga distanza, mantenendo una grande reattività in difesa e correndo bene in contropiede.

Arriva un’inaspettata vittoria contro LeBron, Wade e compagnia, e il tabellino di Carter-Williams a fine gara è da stropicciarsi gli occhi: 22 punti, 12 assist, 9 rubate (record NBA per un rookie) e 7 rimbalzi.

La prima stagione è molto incoraggiante, chiusa con il trofeo di Rookie dell’anno ma col tempo, per colpa di qualche infortunio e forse una perdita di convinzione nei propri mezzi, MCW si è decisamente perso per strada, facendo la spola tra Milwaukee, Chicago, Charlotte e Houston.

Dopo l’ultima parentesi agli Orlando Magic, è stato tagliato lo scorso febbraio.