Questo contenuto è tratto da un articolo di Kelly Scaletta per The Basketball Writers, tradotto in italiano da Stefano Lazzaroni per Around the Game.


Non sono mai stato un fan di Kobe Bryant, quindi l’articolo non parlerà di questo. Non vi annoierò con la favola su come sia cresciuto guardandolo giocare, perché avevo già trent’anni quando Kobe ha iniziato la sua carriera. Non vi parlerò dei suoi numeri, delle sue stats, dei suoi anelli e delle sue prestazioni all’All-Star game: sono innumerevoli, e se le è guadagnate tutte. E non vi parlerò neanche delle discussioni su dove si posizioni nella classifica dei più forti di sempre.


Ogni parola non ha importanza al momento. Vi voglio raccontare perché nel 2020 ho pianto a dirotto e perché sono rimasto così scioccato per la morte di Kobe, di sua figlia Gianna e di tutte le persone che sono precipitate insieme a quell’elicottero.

Sono nato in Louisiana, ed essendo nato in Lousiana, ovviamente ero un tifoso di LSU. Di conseguenza, come tifoso di LSU, ero fan di Shaquille O’Neal, ed essendo un fan di Shaq, tifavo i Lakers.

Per qualche anno, è stato il giocatore più dominante del Pianeta e, a parere di molti, ha avuto il più importante periodo di dominio assoluto nella storia del Gioco. Quando avete tempo, guardate le sue statistiche nelle Finals. Sono irreali. Ma non stiamo parlando di lui, qui. Si parla di Kobe, il secondo miglior giocatore di quella squadra.

Kobe era uno scorer fantastico e un ottimo difensore, e onestamente anche un passatore sottovalutato. Era arrogante. Da buon fan di Shaq, ho addossato tutte le colpe su Kobe, e inevitabilmente ho rotto con Kobe. Con il senno di poi, però, ho iniziato a pensare che avessero entrambi le loro colpe.

Mi ricordo delle accese discussioni con un amico super fan di Kobe, di cui parlava come se fosse l’incarnazione di Michael Jordan. Non potevo non riderne, ma non era cosa così lontana dalla realtà, in fin dei conti. In quel periodo la Lega aveva davvero bisogno di un “nuovo MJ”, di quel singolo giocatore che con la sua personalità potesse attrarre milioni di persone con una straordinaria forza gravitazionale. E Kobe era l’uomo giusto. Aveva il carattere, la personalità e l’ego per riuscirci – e l’ha fatto.

Ha emulato le gesta di Jordan sul parquet, del resto. Vi ricordate il video che li mostra uno a fianco dell’altro, ripetere movimenti praticamente identici? Kobe ha anche, per certi versi, ricalcato le orme di Jordan fuori dal campo, arrivando a guadagnare tra contratti NBA e incassi pubblicitari 770 milioni di dollari netti.

Kobe ha creato momenti magici, ha segnato 81 punti in una partita, consegnato alla storia memorabili game-winner e regalato ai tifosi più ferventi qualcosa in cui credere; e, anzi, anche ai tifosi occasionali e persino ai suoi “haters”, che a volte si sono meravigliati con le sue prestazioni. C’è chi si è soffermato sui tiri che ha sbagliato, su come ha gestito quelle azioni, ma non è questo il punto del discorso. Sono i canestri che ha realizzato. Sono quelli che contano. Ed è questa la caratteristica speciale di Bryant: aveva così tanta convinzione nei suoi mezzi, che tutti non potevano che credergli. Questa era la ragione del suo magnetismo ed anche il motivo dell’amore che tutto il mondo gli sta riconoscendo dopo la sua tragica scomparsa.

Che fosse in Cina, in Europa o a Los Angeles, l’adulazione era sempre vera. I media amavano parlare di lui. I giocatori delle precedenti generazioni approvano la sua etica del lavoro e il suo modo di fare, tanto da indicarli come la giusta via per il successo. Era rispettato dai veterani e le nuove generazioni aspiravano a diventare come lui, un giorno.

Qualunque cosa si pensi su Kobe come giocatore, e in qualunque posto della storia lo si collochi, l’icona Kobe è indiscutibile. Tutti sapevano e sanno chi era. Tutti lo conoscono. Ed è sempre stata chiara a tutti la sua leggendaria etica del lavoro, la sua determinazione e la sua voglia di vincere. Tutti, insomma, sanno cos’è la Mamba Mentality.

Kobe non aveva una fan base, bensì aveva un culto con credenti evangelici che adorano parlare della sua grandezza.

Mi ricordo di essere stato a casa di un amico il giorno in cui Kobe segnò 81 punti contro i Raptors. Continuava a parlarne come se fosse stata la più grande partita di sempre. E a prescindere da quella partita e da ogni paragone, questa era la particolarità del culto di Kobe: la fiducia e la stima in lui trascendevano i fatti reali, perché la fiducia di Kobe in se stesso trascendeva la realtà. Ed è anche il motivo per il quale la sua chiesa si è espansa in tutto il mondo.

Per la maggior parte dei 20 anni in cui ha giocato, Kobe non aveva le mani sul polso dell’NBA. Era lui, il polso dell’NBA.

Forse è stato il giocatore più discusso e chiacchierato di sempre. Sono state tramate storie su storie sul suo conto, tanto da renderlo una leggenda nel vero senso della parola: l’eroe che diventa sempre più grande ogni volta che si raccontano le sue gesta. Kobe è diventato più grande di Kobe, ma comunque non del suo ego e della fiducia nei suoi mezzi.

Questo è uno dei motivi del perché la sua morte, così tragica e inaspettata, ha scioccato il mondo. Quando sono filtrate le prime notizie, in rete si trovavano soltanto commenti del tipo “non ci posso/voglio credere”. Tantissimi. L’incredulità, del resto, è l’unica maniera di ricevere la notizia che l’uomo con più fiducia in se stesso ci sia stato strappato così, da un momento all’altro.

All’ufficialità della notizia, mi sono sentito improvvisamente mortale. Se succede a Kobe, può succedere anche a me. Il pensiero che potesse succedere anche a me mi ha colto alla sprovvista e mi ha lasciato basito. Lacrime sincere, come se parte del tessuto della realtà mi fosse stato strappato via. In quel momento ho capito che nonostante avessi affermato di essere un suo “hater” più di una volta, lo stimavo. Lo rispettavo. Lo amavo.

Lo amavo perché in lui vedevo quanto sarei potuto diventare migliore, più grande di quello che pensavo… se solo ci avessi creduto abbastanza. Ho avuto modo di pensare a tutto ciò e ho realizzato che il suo esempio non può essere spazzato via da una fine così tragica e improvvisa.

Rest in peace, Kobe Bryant. Noi crediamo in te, me compreso.